Questo sarà il discorso che domani proverò ad esporre di fronte alla Commissione di Laurea, mi ha portato via il tempo libero che solitamente dedicavo a scrivere qui sopra, e per rifarmi lo posto qui il giorno prima di questo evento.
Ho scelto di trattare questo argomento un po' per passione, un po' per esprimere un concetto sempre attuale, al quale andrebbe dedicato molto tempo per trovare una chiave risolutiva al problema.
Di che argomento sto parlando? Leggete e capirete.
"Già al tempo di Montesquieu, lui stesso diceva che i
politici di oggi ci parlano solo di manifatture, di commercio, di finanze, di
ricchezze e perfino di lusso. In una società di questo genere, sulla virtù, che
è il principio del governo repubblicano, prevalgono l’ambizione e l’avidità di
tutti; si diffonde il desiderio di possedere ed il tesoro pubblico diventa
patrimonio dei singoli. Quindi crede che gli uomini sarebbero stati costretti,
in futuro, a vivere sotto il governo di uno solo se non avessero studiato una diversa
forma di costituzione. Riferendosi alla repubblica federativa. Questa forma di
governo ha origine da una convenzione in base alla quale numerosi corpi politici
consentono a diventare parte d’uno Stato più grande che tutti insieme intendono
formare. La Repubblica federativa, per Montesquieu, rende possibile la
democrazia nei tempi moderni. Questo perché può mantenersi integra nella sua
grandezza senza corrompersi dall'interno, infatti, se qualche abuso si
introduce in una parte della confederazione viene corretto dalle altre, rimaste
sane.
Arrivando quindi ai giorni nostri, è la controversia tra
Grimm e Habermas a tener aperta questa discussione. Il loro dibattito risale al
1995, quando i due svilupparono una polemica sulle pagine dell’”European Law
Journal”, trattando temi che interessano tutti i principali paesi europei.
Grimm partì dalla classica distinzione tra costituzione,
intesa come fondamento giuridico dello Stato, e il trattato, inteso come
fondamento giuridico delle istituzioni internazionali. Ma aveva subito
individuato il nodo centrale dell’identità istituzionale dell’Europa nella
separabilità della costituzione dallo Stato.
Si da però il caso che, nonostante fosse composta da
stati, l’Unione europea non sia essa stessa uno Stato. E, anche se dotata dagli
Stati membri di prerogative sovrane, la Comunità europea esercita poteri che
non sono disciplinati dal diritto costituzionale.
Lo status istituzionale dell’Unione europea appare di
conseguenza segnato da una contraddizione strutturale: da un lato, l’Unione
europea è un’organizzazione sovranazionale fondata sui trattati, dall'altro la
Comunità, pur senza essere uno Stato dispone di competenze di dominio un tempo
prettamente statuali, producendo normative di diritto europeo vincolanti per
gli Stati membri.
Date queste premesse, un processo di
costituzionalizzazione volto a conferire all'Unione europea i caratteri di uno
Stato federale, non appare a Grimm, data l’inesistenza di un popolo europeo, un
obiettivo realistico: Grimm, infatti, riteneva che un processo di
costituzionalizzazione volto a conferire all'Unione europea i caratteri di uno
Stato federale sovranazionale non rappresentasse un obiettivo realistico dato
che, un processo del genere deve necessariamente risalire a un atto del popolo,
e data l’inesistenza di un’omogenea comunità popolare europea, la nascita di una costituzione europea e la
trasformazione dell’Unione europea in uno Stato federale sovranazionale non è
auspicabile come obiettivo a breve termine, per la sola e decisiva ragione che
il suo grado di legittimazione sarebbe inferiore a quello degli
Stati-nazionali, e con ciò diminuirebbe anche la sua capacità di risolvere i
problemi.
Nella direzione opposta, invece, viaggia la considerazione
di Habermas a proposito della nascita di uno Stato e di una Costituzione
europea, il quale crede che questo determinato processo deve essere
diametralmente rovesciato, nel senso che sono le istituzioni che producono il
popolo, e pertanto rivendica l’esigenza di una costituzione europea quale mezzo
necessario per la formazione di una società e cittadinanza europea. La proposta
teorico-politico habermasiana intende, quindi, l’identità collettiva come una
conseguenza piuttosto che una premessa della costituzione della cittadinanza
democratica; considerando possibile la formazione di una “nazione di cittadini”
tenuta insieme dal “patriottismo costituzionale” come la più adeguata soluzione
a fronteggiare le sfide del “pluralismo culturale e ideologico” di una società
sempre più differenziata e complessa.
L’Unione europea che si è venuta a delineare nel corso
del dopoguerra, rappresenta un modello istituzionale assolutamente inedito
nella storia politica e costituzionale; gli Stati nazionali hanno certamente
perso buona parte della loro sovranità, senza però che essa sia stata
trasferita a nessun altro. Vi è stata, in altri termini, una “dispersione di
sovranità”, o meglio, una “dispersione dei valori”. L’Unione costituisce l’esempio
forse più analiticamente identificabile di quel fenomeno del nostro tempo che
alcuni studiosi definiscono come "multilevel systems of government", “sistemi di
governo multilivello” che corrispondono ad una fase di interrelazioni umane
esorbitate dai confini nazionali, che trovano, perciò, la loro regola in
livelli diversi.
L’esigenza posta con forza da Habermas è che l’unità
economica dell’Europa rischia l’implosione se non si pone all'ordine del giorno
il problema della sua natura politica, per una ragione realistica,
rigorosamente strutturale-funzionale: una società puramente
economico-mercantile è sul piano teorico un perfetto controsenso, sul piano
politico-ideologico la più illusoria delle utopie.
In questa situazione, il Vecchio continente si affaccia
sulla scena del mondo globale senza una fisionomia politica precisa: non si
tratta di una transazione, ma di un tempo sospeso e gravido di incertezze che
minaccia la disarticolazione o addirittura di inibire la formazione di una
società civile e di una sfera pubblica europea."